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La proposta di rimodulazione dell’anno scolastico: profili di diritto sostanziale e procedurale. di A. Di Geronimo

La proposta di rimodulazione dell’anno scolastico: profili di diritto sostanziale e procedurale – effetti sui diritti di accesso dell’utenza e sulla sfera dei diritti patrimoniali della parte privata.

E’ di questi giorni la notizia circa l’intenzione del Governo di rimodulare il calendario scolastico, per consentire il recupero delle lezioni agli alunni che non abbiano potuto fruire pienamente della cosiddetta didattica a distanza. La decisione si fonderebbe su dati in possesso dell’Esecutivo, secondo i quali, specie nella parte meridionale del Paese, il tasso di preclusione del diritto all’istruzione sfiorerebbe il 40%.

Dal lato dell’Utenza, un’eventuale misura legislativa in tal senso si configurerebbe alla stregua di compensazione forfettaria ai fini della piena fruizione del diritto all’istruzione di cui all’art. 34 Cost. Dunque nulla quaestio.

Tuttavia, è opportuno esaminare la questione anche dal lato dei diritti dei lavoratori coinvolti, segnatamente per quanto riguarda i docenti.

Il prolungamento o, comunque, l’incremento del numero dei giorni di lezione in senso stretto, comporterebbe, infatti, un aggravio dell’onerosità della prestazione e ciò determinerebbe l’insorgenza, in capo ai docenti interessati, del diritto alla retribuzione accessoria.

Va fatto rilevare, peraltro, che i docenti che non hanno lavorato in presenza hanno comunque erogato la prestazione in lavoro agile per il tramite della cosiddetta didattica digitale integrata. Modalità che comporta di per sé un aggravio dell’onerosità della prestazione, tant’è che su questa materia è intervenuto anche il Parlamento europeo con la Risoluzione 2019/2181 INL del 21 gennaio 2021, evidenziando la necessità di fissare limiti certi ai fini della fruizione del diritto alla disconnessione e della individuazione di rimedi stragiudiziali per la composizione delle relative controversie di lavoro.

Va fatto rilevare, inoltre, il probabile conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato e delle Regioni ex art. 134 Cost. ai fini dell’emanazione dei relativi atti normativi.

Cominciamo da quest’ultimo.

Sul potenziale conflitto di attribuzioni

Come è noto, la riforma del Titolo V della Costituzione ha assegnato alle Regioni la potestà legislativa concorrente in materia di Istruzione. In particolare, l’articolo 138, comma 1, lettera d), del Decreto legislativo 112/98, attribuisce alle Regioni la delega delle funzioni amministrative riguardanti “la determinazione del calendario scolastico”.

Una legge nazionale che intervenisse in subiecta materia, dunque, rischierebbe di infrangersi sotto il maglio della Corte costituzionale, alla quale le Regioni avrebbero titolo di ricorrere in via diretta, così come previsto dal comma 2, dell’art. 127 Cost. che, testualmente, recita: “La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge.”

E’ ragionevole ritenere, dunque, che un intervento legislativo nazionale in tal senso potrebbe risultare di difficile applicazione in assenza del necessario coordinamento con le Regioni interessate.

E veniamo alla questione della retribuzione dei maggiori aggravi.

Sull’aggravio dell’onerosità della prestazione dei docenti

Come è noto, con la locuzione “orario di lavoro” si intende: “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.”

Mentre per periodo di riposo si intende: “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”.

Infine, per lavoro straordinario va inteso: “il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro”.

Le nozioni di cui sopra si ricavano dalla Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003. Direttiva che è stata recepita nell’ordinamento interno italiano con l’articolo 1, del Decreto legislativo 66/2003. Tale Decreto si applica al lavoro privato, ma è ragionevole ritenere che, stante il rinvio operato dall’articolo 2, del Decreto legislativo 165/2001, trovi applicazione anche in riferimento al lavoro nella PA.

In ogni caso, quand’anche si volesse ritenere che il Decreto legislativo 66/2003 non dovesse trovare applicazione diretta nella PA, la Direttiva 2003/88/CE risulterebbe comunque applicabile alla stregua di “norma interposta” per effetto dell’art. 117 Cost.

Quanto alla fonte degli obblighi dei docenti nei confronti dell’Amministrazione, in quanto datore di lavoro, essi vanno rinvenuti nel contratto di lavoro e nelle leggi sul lavoro privato, così come previsto dall’articolo 2 del Decreto legislativo 165/2001 (si veda la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 21744 del 14 ottobre 2009).

In particolare, per quanto riguarda l’orario di lavoro dei docenti, esso risulta attualmente regolato dagli articoli 28 e 29 del CCNL del 2007, ancora applicabili per effetto del rinvio operato dall’articolo 1, comma 10, del CCNL del 2018.

La disciplina contrattuale dispone che la prestazione di insegnamento stricto sensu risulta doverosa nei periodi in cui le attività didattiche non risultino sospese. Non configurandosi, invece, alcun obbligo di insegnamento nei periodi di sospensione delle lezioni (cfr. Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23934/2020).

Come detto, il calendario scolastico, per quanto riguarda la scansione temporale delle lezioni, rientra nella competenza delle Regioni. A tal fine il comma 3, dell’articolo 74, del Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 stabilisce che “allo svolgimento delle lezioni sono assegnati almeno 200 giorni”.

A fronte della vigenza dei provvedimenti regionali che indicano la durata del calendario delle lezioni, dunque, i docenti assumono l’obbligo di svolgere la prestazione di insegnamento secondo tale scansione temporale e l’adempimento è da ritenersi assolto al decorso del termine indicato in tali provvedimenti.

Il tempo della prestazione, infatti, segue termini diversi a seconda che si tratti di attività di insegnamento ex art. 28 CCNL oppure di attività funzionali all’insegnamento ex art. 29 CCNL.

Le attività di insegnamento, in quanto collegate ai periodi in cui è previsto lo svolgimento delle lezioni, dunque, seguono i termini del calendario fissato dalle Regioni e il criterio del numero minimo di giorni di lezione ai fini della relativa validità (200 giorni) di cui all’articolo 74, comma 3, del Decreto legislativo 297/94.

Le attività funzionali all’insegnamento, fermo restando il limite massimo annuale individuale per le attività di natura collegiale fissato dall’art. 29 del CCNL 2007 (ancora applicabile per effetto del rinvio operato dall’articolo 1, comma 10 del CCNL del 2018) seguono, invece, i termini dell’anno scolastico di cui all’articolo 74, comma 1, del Decreto legislativo 297/94, a mente del quale l’anno scolastico ha inizio il 1° settembre e termina il 31 agosto.

Va detto subito che il dies a quo e il dies ad quem delle attività di insegnamento non sono espressamente definiti contrattualmente. Tuttavia, è ragionevole ritenere che la tassatività di tali termini sia desumibile in via consuetudinaria, atteso che essi vengono costantemente fissati da un’ordinanza annuale del Ministero dell’istruzione e che risultano ascrivibili al genus della c.d. clausola d’uso di cui all’art. 2078 c.c., che così dispone: “In mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo si applicano gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge…”. La nozione di clausola d’uso di cui all’art. 2078 è contenuta, peraltro, nella sentenza n. 1279 del 19.02.1983 della Corte di Cassazione, ove viene definita alla stregua di prassi seguita all’interno di un’impresa riconducibile alla categoria degli usi negoziali. Tale prassi, sempre secondo la Suprema Corte, si inserisce nel contratto di lavoro individuale e ne integra il contenuto. Pertanto, ha forza vincolante per le Parti anche se deroga il contratto collettivo in senso più favorevole al lavoratore.

La modifica unilaterale del termine delle attività di insegnamento contrattualmente previsto per iniziativa della Parte datoriale, dunque, potrebbe configurarsi come inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c..

Conseguentemente, l’eventuale aggravio dell’onerosità della prestazione di insegnamento potrebbe configurarsi legittima solo qualora la Parte datoriale dovesse richiederla a titolo di lavoro straordinario.

Va fatto rilevare, peraltro, che il CCNL di comparto non qualifica il lavoro straordinario alla stregua di elemento essenziale del contratto. Pertanto, eventuali richieste in tal senso non costituirebbero alcun obbligo in capo al docente interessato (cfr. Corte di giustizia europea 8.2.2001 procedimento C-350/99).

Sull’obbligo di previa copertura economica delle leggi

In ogni caso, qualora la Parte datoriale, anche in forza di una eventuale fonte legale di prossima emanazione, dovesse ritenere di imporre tale obbligo, la novella incontrerebbe il limite di cui all’art. 81 Cost., comma 3, che così dispone: “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.

Allo stato attuale, la disponibilità finanziaria per la retribuzione di tali attività di recupero è fissata dall’articolo 21, comma 6-bis, 6-ter e 6-quater del Decreto ristori (Decreto-legge 137/2020, convertito con la legge 176/2020) nell’ordine di 5.532.195 euro per l’anno 2021 (c.d. emendamento “Granato”).

Sull’insorgenza dei crediti retributivi da lavoro straordinario

Considerato che i docenti potenzialmente convolti nel prolungamento delle lezioni sarebbero non meno di 650mila unità e che la tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive di insegnamento è fissata dal CCNL nell’ordine di € 35 lordi, lo stanziamento in parola risulterebbe del tutto insufficiente.

Considerato altresì che si tratterebbe di crediti costituiti da somme di denaro definite e che la prova scritta dell’insorgenza di tali crediti risulterebbe dai registri di classe depositati presso le Istituzioni scolastiche di servizio, è ragionevole ritenere che il diritto all’esazione dei crediti in parola, in capo ai docenti interessati, potrebbe essere agevolmente azionato e soddisfatto anche per il tramite di provvedimenti monitori ex artt. 633 e s.s. c.p.c.

Conclusioni

Dalle suesposte considerazioni viene in rilievo la necessità, dal lato del Legislatore nazionale:

– di procedere a stime accurate circa il fabbisogno a livello territoriale in ordine alla compensazione dei giorni di lezione non fruiti dagli alunni meno abbienti, non aventi accesso a strumenti telematici, durante i periodi di sospensione delle lezioni in presenza, avuto riguardo agli esiti della distribuzione delle risorse di cui al Decreto del Ministero dell’istruzione 26 marzo 2020, n. 187, che dispone il riparto delle risorse in attuazione dell’articolo 120 del decreto-legge 18 del 2020 (assegnazione di tablet in comodato d’uso agli alunni meno abbienti);

– di quantificare le risorse necessarie a garantire la copertura economica delle prestazioni di lavoro straordinario dei docenti utili a tal fine.

All’esito della fase prodromica, il processo formativo del relativo Disegno di legge dovrà necessariamente tenere conto dei diversi fabbisogni in riferimento ai territori e ai vari ordini e gradi di scuola, avuto riguardo alle condizioni socioeconomiche dell’utenza e al numero dei giorni di lezione in presenza effettivamente svolti.

La fase dell’implementazione, per quanto riguarda la distribuzione delle risorse a livello territoriale, potrebbe essere demandata ad un Decreto interministeriale Istruzione-Mef ex Legge 400/88.

Una volta individuate le risorse, a livello di comparto, la regolazione della prestazione e dell’allocazione-imputazione delle relative retribuzioni rientrerebbe nella sfera di competenza della contrattazione collettiva in sede di contrattazione nazionale integrativa. Tale ambito negoziale, per sua natura, non rientrerebbe nell’alveo di competenza dell’Aran, essendo la materia regolata dagli artt. 40 e 40-bis del D.Lgs. 165/2001. Pertanto, la definizione della normativa di dettaglio rientrerebbe nella sfera di competenza delle ordinarie relazioni sindacali a livello di Amministrazione scolastica e O.O.S.S. firmatarie del CCNL vigente di cui all’art. 22, comma 2, lett.a), del CCNL medesimo.

Dal lato del Legislatore regionale assume rilievo, invece, all’esito della nomopoiesi primaria, la necessità di rimodulare il calendario scolastico, avuto riguardo alla effettiva copertura finanziaria delle prestazioni aggiuntive, nonché alle necessità dell’Utenza a livello territoriale in riferimento ai vari ordini e gradi di scuola.

Dott. Antimo Di Geronimo

immagine di copertina tratta da iccarpaneto.it