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Il sistema delle precedenze per l’assistenza al disabile, tra disposizioni pattizie e legge n.104/1992. Commento a Corte di Cassazione sez. lavoro, ord. 22.02.2021, n. 4677 di F. Orecchioni

Art.33, l. 104/1992. Imperatività della norma. Esclusione. CCNI sulla mobilità del comparto scuola. Graduazione della precedenza ex art.33 nelle operazioni di mobilità in ragione del grado di parentela col soggetto disabile. Legittimità. Sussistenza.

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione prende posizione in ordine alla problematica relativa al riconoscimento della precedenza nella scelta della sede, prevista dalla l. 104/1992 in favore del familiare che assiste il disabile in condizione di gravità.

Com’è noto, l’art. 33, comma 3 della l. n. 104/1992,  dispone:

A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.

4. (OMISSIS)

5. Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il diritto di scelta può essere esercitato sia all’atto dell’assunzione, sia successivamente, in occasione dei trasferimenti.

Il testo delle richiamate disposizioni legislative non consente di limitare il diritto alla mobilità solo alle fattispecie in cui la situazione di handicap del soggetto assistito fosse esistente solo al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro. L’espressione “ha diritto di scegliere”, infatti, non può essere riferita solo al momento iniziale del rapporto di impiego pubblico, in cui è disposta l’assegnazione della sede di lavoro, ma deve essere letta con riferimento alla ratio generale della L. n. 104, di approntare strumenti di tutela della persona handicappata che esaltino la naturale spinta solidaristica nascente dal vincolo familiare e che si aggiungano alle tutele offerte dai pubblici servizi di assistenza.

La centralità di tale concetto di tutela è stata posta in rilievo dalla giurisprudenza proprio in relazione al momento in cui il diritto della persona handicappata deve essere rapportato al diritto alla mobilità del pubblico dipendente, tanto nel caso che il vincolo di assistenza venga invocato per evitare il trasferimento (Cass. 9.07.12 n. 9201), tanto che venga invocato per ottenere il trasferimento (Cass. 3.08.15 n. 16298, ove il dato interpretativo letterale viene rafforzato con la comparazione con il successivo comma 6, che regola la fattispecie della persona in situazione di handicap che chiede lo spostamento di sede, alla quale non viene posta alcuna preclusione e si consente il trasferimento, senza distinguere se la situazione soggettiva sia intervenuta prima dell’instaurazione o in costanza del rapporto di lavoro(Corte di Cassazione, n. 585/2016)[1].

Sul particolare valore dei principi affermati dalla legge n. 104/1992, ha avuto modo di soffermarsi anche la Corte Costituzionale.

La ratio legis del diritto al permesso mensile retribuito consiste nel favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare al fine di tutelarne la salute psico-fisica, quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost., rientrante tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.). È, pertanto, irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità, risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione. E ciò in particolare — ma non solo — nei casi in cui la convivenza si fondi su una relazione affettiva, tipica del “rapporto familiare”, nell’ambito della platea dei valori solidaristici postulati dalle “aggregazioni” cui fa riferimento l’art. 2 Cost. Peraltro, la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale non esclude la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell’una e dell’altro che possano presentare analogie ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell’art. 3 Cost. In questo caso l’elemento unificante tra le due situazioni è dato proprio dall’esigenza di tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave, nella sua accezione più ampia, collocabile tra i diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost. D’altra parte, ove così non fosse, il diritto — costituzionalmente presidiato — del portatore di handicap di ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita, verrebbe ad essere irragionevolmente compresso, non in ragione di una obiettiva carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato “normativo” rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio. Se, dunque, l’art. 3 Cost. è violato per la non ragionevolezza della norma censurata, gli artt. 2 e 32 Cost. lo sono, quanto al diritto fondamentale alla salute psico-fisica del disabile grave, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (Corte Costituzionale, n.213/2016).

C’è da dire però che il CCNI del comparto scuola prevede la precedenza nei trasferimenti interprovinciali solo a favore dei genitori o del coniuge del soggetto gravemente disabile, negando la precedenza non solo agli altri familiari indicati dall’art.33, ma persino al figlio unico.

Tutti gli altri soggetti[2] hanno diritto ad una precedenza unicamente per le operazioni di assegnazione provvisoria, che – com’è noto- sono di durata annuale e pertanto non garantiscono in alcun modo la continuità dell’assistenza[3].

Da ciò, le ragioni di numerosi ricorsi da parte del personale scolastico, ricorsi in larga parte accolti dalla giurisprudenza di merito.

La vicenda processuale.

Il caso scrutinato dalla Cassazione si riferiva ad una dipendente, in servizio in Liguria, che aveva richiesto il riconoscimento della precedenza ex art.33, comma 5, l. n.104/1992, nella sua qualità di unico familiare di riferimento del padre, gravemente invalido e residente in provincia di Trapani.

La domanda, in un primo momento rigettata, veniva successivamente accolta dalla Corte territoriale.

La sentenza veniva impugnata dalla difesa erariale, che negava il carattere imperativo della norma de qua, e – comunque- sosteneva la piena legittimità delle disposizioni pattizie, in quanto tese a contemperare il diritto all’assistenza con le esigenze relative al “buon operato” dell’Amministrazione.

La soluzione della Corte.

La pronuncia in commento, valorizzando la locuzione “ove possibile”[4], contenuta nel comma 5, ha ricordato che in questi casi in capo al lavoratore non sussiste un diritto assoluto, riconosciuto invece al soggetto disabile dall’art.21, l. cit.

Pertanto, nella fattispecie occorre tener conto “di un bilanciamento di interessi tutti costituzionalmente protetti, di modo che il suo esercizio risulti compatibile con le esigenze organizzative della pubblica amministrazione datore di lavoro, su cui grava l’onere della prova di circostanze ostative all’esercizio dello stesso”-

E, in effetti, è questo l’approdo cui è da tempo pervenuta la giurisprudenza di legittimità.

Partendo da queste condivisibili premesse, la Corte ha affermato la piena compatibilità delle disposizioni contrattuali con la disciplina fissata dalla legge n.104, in quanto adottate “nell’ambito del principio del bilanciamento degli interessi che proprio la legge n.104 del 1992 privilegia”.

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C’è da dire in primo luogo che nel procedimento de quo non risulta sia stata effettuata alcuna valutazione in ordine alle particolari esigenze ostative della P.A., che l’ordinanza in commento non menziona in alcun modo e che con ogni probabilità non sono state neppure allegate agli atti di causa.

Eppure, si legge nella sentenza stessa che l’onere della prova in ordine alle “particolari esigenze” dell’Amministrazione ricadeva sul Ministero.

Sul punto, la Cassazione si è da tempo pronunciata con giurisprudenza granitica.

Va infatti ricordato che la legge n.104/1992  prevede due differenti agevolazioni per il dipendente:

– la possibilità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio;

– il diritto a non essere trasferito in una sede lavorativa differente, senza il suo consenso.

Relativamente alla prima agevolazione, se è vero che la giurisprudenza ha più volte sottolineato come tale diritto, in virtù dell’inciso “ove possibile”, non sia assoluto, è altrettanto vero che la Corte di Cassazione (ex multis, Cass. 25.01.06 n. 1396 e 27.03.08 n. 7945) ha da tempo stabilito, per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico, che il rifiuto di accedere a una richiesta in tal senso è giustificabile qualora “potrebbe determinarsi un danno per la collettività”.

Orbene, nel caso in specie, stando a quanto emerge dall’ordinanza, non sembra sia ravvisabile alcuna ipotesi di “danno per la collettività” dall’accoglimento della domanda azionata[5].

Senza considerare che la legge n.104/1992 non prevede alcuna “graduatoria” tra i soggetti che prestano assistenza al familiare disabile, in considerazione del fatto che ciò che rileva è la circostanza che il soggetto che presta l’assistenza è l’unico familiare in grado di farlo, sia per mancanza di altri familiari, sia perché i medesimi non possono prestare l’assistenza stessa (si pensi al caso del soggetto invalido, con due figli, di cui uno domiciliato a centinaia di chilometri).

La ratio della l. n. 104/1992 non è quella di stabilire una gerarchia sulla base di un rapporto di parentela, ma di consentire a quel familiare che presta l’assistenza di essere vicino al soggetto disabile.

Né d’altra parte può sottacersi che la stessa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6150/2019, era pervenuta ad opposte soluzioni.

In primo luogo, in ordine al diritto di scelta della sede.

Questa Corte (Cass. n. 28320 del 2010; n. n. 3896 del 2009), in riferimento all’art. 33, comma 5, L. n.104 del 1992, sul diritto del genitore o familiare lavoratore “che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato” di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, è applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l’attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento. La ratio della norma è infatti quella di favorire l’assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso; diritto alla salute psico-fisica, comprensivo della assistenza e della socializzazione, va dunque garantito e tutelato, al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell’art. 2 Cost., deve intendersi «ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico» (Corte Cost. n. 213 del 2016; n. 138 del 2010), ivi compresa appunto la comunità familiare”.

Per quanto riguarda il bilanciamento degli interessi:

L’art. 33, comma 5 disciplina uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizione di handicap, attraverso l’agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l’attività affinché quest’ultima risulti il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza ferma la qualificazione come “diritto” della posizione soggettiva del lavoratore nella scelta della sede di lavoro più vicina al familiare da assistere, e in tal senso si esprime l’art. 33, comma 5 cit., non vi è dubbio che tale diritto non sia incondizionato (come reso evidente dall’inciso “ove possibile” contenuto nella norma) ma debba essere oggetto di un bilanciamento con altri diritti e interessi del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 41 Cost.;

tale bilanciamento, come già statuito da questa Corte (Cass. n. 24015 del 2017; n. 25379 del 2016; n. 9201 del 2012), dovrà valorizzare le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore col solo limite di esigenze tecniche, organizzative e produttive, allegate e comprovate da parte datoriale, non solo effettive ma anche non suscettibili di essere diversamente soddisfatte”(Cass. n. 6150/2019, cit.)

La pronuncia in commento, piuttosto che porsi in linea evolutiva con la giurisprudenza in subiecta materia, segna un’evidente e brusca inversione di rotta, certamente possibile, ma che sarebbe stata probabilmente più apprezzata qualora nella pronuncia si fosse dato atto dei precedenti giurisprudenziali di senso opposto e si fosse magari in qualche modo motivato il ripensamento.

Anche perché, l’Ordinanza Ministeriale che regola i trasferimenti del personale scolastico è stata più volte dichiarata illegittima dal Giudice Amministrativo, proprio in ragione della mancata precedenza riconosciuta al figlio quale referente unico del disabile grave bisognoso di assistenza (cfr. Tar Lazio, n. 7104/2019).

E più volte lo stesso Giudice Amministrativo ha riconosciuto tale precedenza persino in favore del personale militare.

Poiché la citata ordinanza n. 6150/2019 della Cassazione era relativa ad un dipendente delle Poste italiane, sembrerebbe dunque che l’unica categoria in cui non trovano piena attuazione i principi fissati dalla l.n. 104/1992 sia il personale scolastico.

E ciò benché i principi contenuti nell’art. 33, l. n. 104/1992 siano sicuramente applicabili anche al comparto scuola, in forza del disposto di cui all’art. 601 D. Lgs. n. 297/1994 (c.d. “Testo Unico della Scuola”), che prevede espressamente l’applicazione degli articoli 21 e 33 della legge quadro 5 febbraio 1992 n. 104 al personale della scuola, sia ai fini della nomina in ruolo, sia ai fini della mobilità[6].

Ciò nonostante, le disposizioni contenute nel CCNI sulla mobilità del comparto scuola stabiliscono una discriminazione tra i soggetti che prestano l’assistenza al familiare disabile, attribuendo una precedenza ad alcuni e negandola ad altri, sulla base del rapporto di parentela, finendo così per limitare, se non negare, quei diritti garantiti dalla citata l.n. 104/1992, a tutela in primo luogo del soggetto disabile.

E’ appena il caso di ricordare che le disposizioni contenute nella citata legge sono dirette a tutelare diritti di rilevanza costituzionale, quali quelli sottesi al diritto alla salute, alla solidarietà sociale e alla tutela dei disabili, discendenti dalle disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost.

Appare opportuno richiamare in proposito quanto ritenuto dalla giurisprudenza di merito.

L’inciso “ove possibile” indica che tale possibilità di scelta non è assoluta, tuttavia correttamente l’appellante ha richiamato la giurisprudenza della Corte di legittimità che, per i rapporti di lavoro pubblico, ha stabilito che il rifiuto di accedere ad una tale richiesta è giustificabile qualora potrebbe determinarsi un danno alla collettività, danno che nel caso di specie non è ravvisabile, atteso che l’appellante è stato assunto in ruolo, seppur in via provvisoria, proprio presso l’I.C. di Spoltore, dove quindi esisteva un posto vacante e disponibile e d’altra parte, nel bilanciamento di interessi contrapposti, il rilievo costituzionale del diritto alla salute, alla solidarietà sociale, alla tutela dei disabili, prevale sulle esigenze organizzative dell’istituzione scolastica, che peraltro nel caso di specie alcun danno patirebbe dalla soluzione prospettata dall’appellante.

In relazione quindi alla circostanza che la legge 104/92 non fa alcuna graduazione circa i parenti o affini da assistere, sol richiedendo che il lavoratore sia l’unico in grado di prestare assistenza, va da se che il CCNI 11/4/17, che prevede la limitazione del diritto di precedenza nella mobilità interprovinciale a favore dei soli genitori e del coniuge del soggetto affetto da handicap, contrasta con l’art.33 che ha portata più ampia (Corte d’Appello L’Aquila, n.  618/2019).

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Non va inoltre dimenticato che il soggetto tutelato dalla l.n. 104/1992 non è il lavoratore che assiste il familiare disabile, ma il disabile stesso[7], il quale -in mancanza delle agevolazioni di legge- vedrebbe gravemente limitato il diritto di essere assistito.

Del resto, le carenze del sistema pubblico di assistenza sono purtroppo ben note, per cui è la rete familiare che deve necessariamente farsi carico delle inefficienze della Pubblica Amministrazione.

Come si è visto, la giurisprudenza (costituzionale e di legittimità) ha da tempo ricordato che i principi stabiliti dalla l.n.104/1992 attengono a fondamentali diritti di rango costituzionale, sacrificabili e comprimibili solo di fronte a esigenze tecniche, organizzative e produttive, allegate e comprovate da parte datoriale, non solo effettive ma anche non suscettibili di essere diversamente soddisfatte”(Cass. n. 6150/2019, cit.)

Alla luce della pronuncia in esame, l’unico comparto del pubblico impiego non onerato ad indicare tali ragioni ostative sarebbe quello della scuola.

Pertanto, solo il personale della scuola non avrebbe diritto all’applicazione di quelle regole che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato in subiecta materia, con conseguente compressione e limitazione di diritti di rango costituzionale.

Poiché il soggetto tutelato dalla l.n.104 è in realtà il disabile, occorrerà che lo stesso abbia la ventura di aver un figlio che lavori alle Poste o magari presso la Guardia di Finanza.

L’importante è che non lavori nella scuola.

Avv. Francesco Orecchioni – Foro di Lanciano


[1][1] La sentenza si riferiva al caso dei dipendenti dei conservatori pubblici.

Ad onor del vero, in questo caso, la Cassazione ha affermato la legittimità delle disposizioni pattizie  (contratto collettivo decentrato 31.05.02) che prevedevano delle priorità  nelle operazioni di trasferimento, a seconda delle categorie di menomazione. La priorità assoluta era riservata ai dipendenti portatori essi stessi di handicap; successivamente erano previste (peraltro con limitazioni territoriali predefinite) alcune categorie di soggetti riconducibili all’art. 33 (genitori di minore con handicap, handicappato maggiorenne in situazione di gravità, coniugi o figli obbligati all’assistenza che “abbiano interrotto una situazione di assistenza continuata a seguito di instaurazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato”).  Lo stesso contratto prevedeva poi dei punteggi aggiuntivi per i dipendenti, ai fini della formazione delle graduatorie dei trasferimenti, in particolare, attribuiva tre punti “per la cura e l’assistenza dei parenti conviventi (diversi dai figli e dal coniuge) e degli affini conviventi entro il terzo grado”.

[2] Trattasi di “parenti o affini entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”- cfr. art.33, comma 3, l. cit.).

[3] Peraltro, siccome le assegnazioni provvisorie vengono effettuate successivamente ai trasferimenti e alle immissioni in ruolo, si rischia concretamente che all’atto di disporre le assegnazioni provvisorie i posti vacanti siano esauriti.

[4] Per giurisprudenza assolutamente prevalente, essa va intesa nel senso di consentire il trasferimento solo nei casi in cui vi siano dei posti effettivamente vacanti.

[5] Senza considerare che subordinare diritti costituzionalmente rilevanti – quali quelli sottesi al diritto alla salute, alla solidarietà sociale, alla tutela dei disabili -ad esigenze organizzative dell’istituzione scolastica, se pure potrebbe astrattamente apparire condivisibile, porterebbe in realtà ad un eccessivo sbilanciamento degli interessi, dando un’eccessiva preponderanza a quelli organizzativi del datore di lavoro rispetto a quelli, attinenti alla persona (e discendenti dalle disposizioni costituzionali ex artt. 2, 3, 29 e 32 Cost.) propri del lavoratore che assiste il familiare disabile in situazione di gravità.

[6] Di seguito il testo della norma:

Art. 601 – Tutela dei soggetti portatori di handicap. 

1. Gli articoli 21 e 33 della legge quadro 5 febbraio 1992, n. 104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate si applicano al personale di cui al presente testo unico.

2. Le predette norme comportano la precedenza all’atto della nomina in ruolo, dell’assunzione come non di ruolo e in sede di mobilità.

[7] L’art. 33, comma 5 disciplina uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizione di handicap, attraverso l’agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l’attività affinché quest’ultima risulti il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza” ( Corte di Cassazione, Ordinanza n. 6150/19, cit.)

immagine tratta da infermieristicamente.it