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Il Ministero non può contestare la mancanza di un esame dopo tanti anni

Di Francesco Orecchioni

Consiglio di Stato, n. 9488 del 3 novembre 2023.

Irregolarità titolo di studio procedura concorsuale per l’accesso ai ruoli personale docente. Acquiescenza dell’Amministrazione per oltre dieci anni. Conseguenze. Sanabilià dell’irregolarità in forza dell’esperienza maturata. Sussistenza.

Principio del legittimo affidamento in forza di univoco comportamento dell’Amministrazione protrattosi nel tempo. Sussistenza,

Mendacio per aver dichiarato di essere in possesso di titolo idoneo. Esclusione.

L’annotata sentenza si discosta in parte dal costante indirizzo giurisprudenziale che ha da sempre ritenuto che l’assenza di titolo idoneo possa essere fatta valere dal pubblico datore di lavoro anche a distanza di anni dall’avvenuta assunzione in ruolo, in forza della natura pubblicistica della selezione e dei principi di imparzialità , trasparenza e meritocrazia di cui all’art. 97 Cost.

Il fatto

Una docente di lettere – dopo quattordici anni do insegnamento- si è vista contestare l’assenza dell’esame di latino, necessario per accedere alla classe di concorsoA022 (già classe di concorso43/A- Italiano storia ed educazione civica, geografia nella scuola media), i cui titoli di accesso prevedono un corso annuale di lingua e letteratura latina.

C’è da dire però che la professoressa – regolarmente inserita nelle graduatorie d’istituto- aveva puntualmente dichiarato qual era il titolo di studio in suo possesso ed aveva insegnato dal 2007 sulla classe di concorso 43/A, senza che le fosse mai stata avanzata alcuna obiezione, pur avendo provveduto a depositare il piano degli esami sostenuti.

In occasione del concorso straordinario di cui al D.M. n.510/2020, la docente si classificava quattordicesima su un totale di oltre 3.000 partecipanti.

Se non che – dopo qualche tempo -le veniva comunicata la sua esclusione dalla procedura concorsuale, per mancanza di idoneo titolo di accesso.

L’insegnante impugnava il provvedimento di fronte al Tar Lombardia, che ordinava all’Amministrazione di inserirla con riserva nella graduatoria.  

La professoressa veniva immessa in ruolo e superava l’anno di prova, con brillanti risultati, tanto che uno dei suoi alunni vinceva il Premio Galdus 2023 per le scuole secondarie di primo grado, categoria poesia.

Il Ministero appellava la sentenza, da un lato ribadendo la mancanza di idoneo titolo di accesso, dall’altro contestando l’applicabilità del principio di affidamento, sottolineando piuttosto come la docente avesse rilasciato dichiarazioni mendaci in occasione dell’inoltro della domanda di partecipazione al concorso.

Il principio dell’affidamento

Il Tar aveva fondato la sua decisione osservando che per oltre dieci anni l’amministrazione aveva riconosciuto la validità del titolo di studio, assegnandole conseguentemente le supplenze tanto che la docente aveva maturato una considerevole esperienza di insegnamento.

Ad analoghe conclusioni è giunto il Consiglio di Stato, con l’annotata sentenza in cui si legge che “L’univoco comportamento dell’Amministrazione risulta pertanto ragionevolmente idoneo e sufficiente ai fini della maturazione, nel tempo, della convinzione di buona fede dell’interessata che il proprio diploma di laurea fosse idoneo all’insegnamento svolto”.

Né, ad avviso del Consiglio di Stato, risulta fondata la tesi secondo cui la docente avrebbe rilasciato “dichiarazioni mendaci”, solo perché aveva indicato di possedere un idoneo titolo di accesso.

Il Collegio ha ricordato infatti “la complessità e non univocità della moltitudine di disposizioni di legge, di decreti, di circolari e di provvedimenti relativi all’accesso all’insegnamento in Italia e, in particolare alla individuazione dei diplomi di laurea idonei all’insegnamento.

Una tale congerie di disposizioni può determinare una difficile ricostruzione della normativa da parte del cittadino, a maggior ragione qualora l’Amministrazione, vi abbia ripetutamente e continuativamente dato applicazione in senso divergente da quello reclamato in giudizio (Consiglio di Stato, n. 9488 del 3 novembre 2023).