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Il Consiglio di Stato “riabilita” il concorso per dirigente scolastico. Nota a Consiglio di Stato, sentenze 395 e 396 del 12.01.2021 di F. Rossi.

GIUDIZIO D’APPELLO – DIVIETO DI NOVA IN APPELLO – CONCORSO PUBBLICO – INCOMPATIBILITA’ DEI COMMISSARI – RILEVANZA E CONSEGUENZE – GENERCITA’ DELLE CENSURE – TEMPI DI CORREZIONE DEGLI ELABORATI – CRITERI DI VALUTAZIONE – SIMULTANEITA’ DELLA PROVA

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 395 del 12.01.2021 e sentenza 396 del 12.01.2021

È giunto al suo esito finale il fitto contenzioso che ha riguardato Il concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. n.1259 del 23 novembre 2017.

Il primo grado di giudizio: l’annullamento del concorso nella sua interezza.

Si ricorda che Il Tar Lazio, nel luglio 2019, aveva emesso due sentenze – la n.8655/19, e la n.8670/19, – con cui aveva disposto il radicale annullamento della suddetta procedura concorsuale, in ragione della ritenuta incompatibilità di alcuni Commissari d’esame. In primo grado erano state, invece, rigettate numerose altre censure avanzate dalle due citate ricorrenti, bocciate alle prove scritte, relativamente alle modalità di svolgimento del concorso (illegittimità delle griglie di valutazione, esiguità dei tempi di correzione, violazione del principio di unicità della prova scritta, violazione dell’anonimato, disparità nella valutazione degli elaborati tra le diverse commissioni, malfunzionamento del software di gestione la prova scritta).

L’appello proposto dai candidati vincitori e la sospensiva del Consiglio di Stato.

Hanno proposto appello, nei confronti di ciascuna delle due citate sentenze del TAR Lazio, numerosi candidati inseriti nella graduatoria finale degli idonei e già nominati dirigenti scolastici o prossimi alla nomina.

Con ordinanza n.3514 del 12 luglio 2019, l’organo d’appello accolse la domanda avanzata dagli idonei di sospendere l’efficacia delle due sentenze impugnate: “Considerato che – a prescindere dal merito delle questioni devolute in appello e da ogni valutazione sull’effettiva portata invalidante dei vizi dedotti (segnatamente dei vizi riscontrati dal primo giudice) –, sulla base di un bilanciamento di tutti gli interessi in conflitto ed alla luce di una valutazione comparativa degli effetti scaturenti dall’esecuzione dell’appellata sentenza nelle more del giudizio di merito, con particolare riguardo all’incidenza sull’assetto organizzativo dell’amministrazione della scuola in prossimità dell’inizio del nuovo anno scolastico, deve ritenersi preminente l’interesse pubblico alla tempestiva conclusione della procedura concorsuale, anche tenuto conto della tempistica prevista per la procedura di immissione in ruolo dei candidati vincitori e per l’affidamento degli incarichi di dirigenza scolastica con decorrenza dal 1° settembre 2019”.

La fase di merito e le due sentenze del Consiglio di Stato.

Dopo alcuni rinvii causati dall’emergenza Covid,  l’udienza finale di merito è stata fissata per il giorno 15/10/2020 e in data 12/2/21 il Consiglio di Stato ha depositato le due sentenze  n.395/21 e n.396/21 con cui sono state annullate, rispettivamente, le pronunzie del TAR Lazio 8655/19 e 8670/19 nella parte in cui avevano disposto la caducazione della procedura concorsuale; mentre, in rigetto degli appelli incidentali presentati dalle originarie ricorrenti in primo grado, il medesimo organo giurisdizionale ha confermato i capi di rigetto contenuti nelle sentenze di primo grado.   

Il divieto di nova in appello.

Preliminarmente, i Giudici di Palazzo Spada hanno dichiarato inammissibili tutte le produzioni documentali effettuate dalle originarie ricorrenti e da taluni interventori ad opponendum in violazione dei termini processuali: “Secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato il termine di quaranta giorni liberi previsto dall’art. 73, comma 1, cod. proc. amm. per la produzione documentale ha carattere perentorio, in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio e dell’ordinato svolgimento del processo, con la conseguenza che la sua violazione conduce alla inutilizzabilità processuale dei documenti presentati tardivamente, da considerarsi tamquam non essent, e che il termine non può essere superato neanche su accordo delle parti (v., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3192; Cons. Stato, Sez. III, 13 settembre 2013, n. 4545)”.

        Le parti interessate – ha proseguito il Consiglio di Stato – avrebbero dovuto provare una “causa non imputabile” riguardo alla mancata tempestiva produzione; causa non imputabile che, nel caso di specie, non è stata neanche dedotta. 

       “Ad ogni modo – hanno concluso sul punto i Giudici d’appello – le menzionate produzioni documentali sono inidonee a influire in modo decisivo sull’esito del presente giudizio, in quanto intrinsecamente inconcludenti e non dirimenti sotto il profilo probatorio (anche perché in gran parte incompleti, estrapolati da qualsiasi contesto e privi di autenticità), quindi, in definitiva privi del requisito della rilevanza e dell’indispensabilità ai fini decisori”.

            Le questioni di merito.

            Sulla fondatezza dei motivi d’impugnazione dedotti in via principale: l’insussistenza di ragioni caducanti.

         Il Consiglio di Stato è, quindi, passato ad esaminare i profili di merito del giudizio, accogliendo le doglianze avverso la sentenza di primo grado proposte dagli appellanti principali (ossia dai vincitori).

            Specificamente, il Consesso d’appello ha ritenuto non provati e, comunque, non vizianti i profili d’incompatibilità dedotti dalle originarie ricorrenti nei confronti di alcuni commissari d’esame; incompatibilità che, invece, erano state poste dal TAR Roma a fondamento delle proprie pronunzie caducatorie.

            Al riguardo, con considerazioni di sicuro rilievo nomofilattico, Palazzo Spada ha, anzitutto, puntualizzato che non basta la semplice partecipazione di uno o più Commissari – in eventuale posizione d’incompatibilità – ad una seduta plenaria per invalidare tutta la successiva attività concorsuale (come avevano ritenuto i Giudici di prime cure); essendo, viceversa, necessario indagare tanto riguardo alla natura effettivamente deliberativa dell’attività svolta nella seduta in considerazione quanto il concreto apporto causale in seno alla stessa da parte dei Commissari sub suspicione: “deve escludersi, a monte, che la fissazione dei criteri valutativi sia causalmente riconducibile all’operato della commissione in seduta plenaria, formando piuttosto oggetto delle determinazioni adottate in piena autonomia dal comitato tecnico scientifico (in aderenza all’assetto regolamentare disciplinante il corso-concorso all’esame), nonché, a valle, che la formazione della volontà dell’organo collegiale costituito dalla commissione in composizione plenaria nella seduta del 25 gennaio 2019 (con oltre 100 partecipanti, componenti della commissione centrale e delle sottocommissioni) possa in qualche modo essere stata incisa dalla presenza di tre componenti asseritamente incompatibili, attesa – anche in difetto di risultanze di segno contrario dal verbale – la manifesta inidoneità della loro partecipazione ad influenzare la predeterminazione (peraltro unanime) dei criteri valutativi in funzione del favoreggiamento di un candidato piuttosto di un altro, difettando in tal senso anche un pur minimo principio di prova”.

         Quindi, non solo nella seduta plenaria in questione, a dispetto della formula approvativa utilizzata, ci si era limitati al recepimento di una c.d. griglia di correzione, in realtà, elaborata e già approvata da un Comitato tecnico-scientifico (istituito ai sensi dell’art.13 d.m. n.138 del 3/8/17), ma, in ogni caso, i tre commissari in sospetta posizione d’incompatibilità non avrebbero potuto avere alcuna incidenza causale ai fini delle ivi assunte determinazioni procedimentali.

La prova delle situazioni d’incompatibilità e la definizione della loro rilevanza viziante.

Anche con riferimento all’attività più strettamente valutativa svolta dai citati tre Commissari in seno alle proprie sotto-commissioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto non sussistere ragione alcuna per la relativa invalidazione.

Al suddetto riguardo, l’organo giurisdizionale d’appello ha, in primis, preteso un particolare rigore in punto di prova riguardo alle dedotte situazioni d’incompatibilità, stigmatizzando che, nel caso specifico, ciò fosse del tutto mancato: “Ad un esame dei documenti prodotti dall’originaria ricorrente a suffragio della censura di incompatibilità in capo ai menzionati commissari (doc. 26 e 27 del fascicolo di primo grado), risulta che tali documenti consistono in meri avvisi promozionali relativi a convegnistica ed eventi formativi, in particolare in varie locandine ed e-mail – peraltro prodotte tramite screenshot ovvero fotografie di schermi di computer e smartphone, di cui è impossibile accertare la genuinità o l’esatta provenienza, e quindi di dubbia valenza probatoria –, in parte illeggibili e, comunque, carenti di idonee informazioni circa le caratteristiche degli eventi pubblicizzati, oppure inserite più volte nell’ambito dei due distinti allegati, oppure in larga parte non aventi alcun preciso legame con i commissari in questione o non indirizzate ai candidati al concorso per dirigente scolastico di cui trattasi”. Per tale ragione, la prova della partecipazione da parte dei Commissari ad attività e/o corsi di preparazione alla procedura di reclutamento de qua – ciò in cui, a detta delle ricorrenti, avrebbe integrato la specifica causa d’incompatibilità di cui art.16 comma 2 lett.c d.m. 138/2017 – non poteva ritenersi raggiunta mediante le suddette, inadeguate, allegazioni documentali.

Tale prova non sarebbe, comunque, bastata.

Ponendosi nel solco di una granitica giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. di Stato sent.4105/17, sent.4954/18,  sent.6747/18, sent.178/19), la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha, infatti, ricordato come: “le fattispecie di incompatibilità non possono trovare un’applicazione meramente formalistica, ma occorre altresì verificare se la situazione concreta dedotta in giudizio sia idonea ad incidere sul giudizio della commissione medesima nel senso di orientarlo a favore di un candidato (o di un gruppo di candidati) piuttosto che di un altro, sicché … devono sussistere elementi concreti, univoci e concordanti idonei a dimostrare l’influenza che un componente della commissione possa avere esercitato in favore di alcuni candidati”.

Allora, non è sufficiente che taluno dei Commissari abbia partecipato ad attività formative finalizzate allo specifico concorso in cui essi fanno da valutatori ma devono essere rigorosamente provate particolari situazioni di conoscenza e frequentazione con specifici candidati.

Anzi, talora i Giudici di Palazzo Spada si erano spinti anche oltre, affermando che “l’incompatibilità tra esaminatore e concorrente in questa materia si può effettivamente ravvisare soltanto nei casi in cui tra i due soggetti sussista un concreto sodalizio di interessi economici, di lavoro o professionali talmente intensi da ingenerare il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva e genuina, ma condizionata da tale situazione (conf. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 5023 del 2012, richiamata anche da sent. 4954/18 cit.).

Sui casi d’incompatibilità in capo a chi ricopre cariche politiche.

Un rilievo più specifico hanno le sentenze qui commentate con riferimento alla posizione d’incompatibilità di un commissario, per essere lo stesso, alla data di espletamento del concorso, Sindaco di un piccolo Comune. Ciò che i ricorrenti in primo grado (seguiti in ciò dal TAR Roma) avevano ritenuto causa viziante della procedura concorsuale per violazione dell’art. 16, comma 2, lettera a) del d.m. n. 138/2017 – che riproduce, sostanzialmente, l’art. 35, comma 3, lettera e), d.lgs. n. 165/2001 –  secondo cui le commissioni giudicatrici devono essere formate “esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali”.

Anche in tal caso il Consiglio di Stato ha applicato criteri di concreta efficienza causale, rimarcando come “l’incompatibilità può bensì essere estesa anche ai soggetti che ricoprano cariche politiche presso amministrazioni pubbliche diverse da quella procedente, ma a condizione che vi sia un qualche elemento di collegamento significativo tra l’attività esercitabile da colui che ricopre la carica e l’attività dell’ente che indice il concorso, da cui si possa inferire l’influenza di un componente della commissione per favorire alcuni candidati: in particolare, è necessaria la dimostrazione della possibilità del soggetto di incidere sul neutrale svolgimento del concorso per il solo effetto della carica politica o sindacale rivestita (v., su tali principi, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 20 agosto 2018, n. 4963; Cons. Stato, Sez. II, pareri 19 maggio 2015, n. 1525 e n. 1526, con ulteriori richiami giurisprudenziali; Cons. Stato, Sez. VI, 12 novembre 2013, n. 5392; Cons. Stato, Sez. V, 2 febbraio 2012, n. 574)”.

In particolare, è stato ritenuto che “non è ravvisabile alcun pericolo, neppure remoto, di incidenza sul neutrale svolgimento del concorso … per il solo effetto della titolarità della carica di sindaco in un comune con meno di 5.000 abitanti – per giunta, eletto su una locale lista civica priva di collegamento con un partito politico nazionale … –, considerato che si tratta di un concorso gestito a livello nazionale, nel quale le sotto-commissioni sono state chiamate a valutare gli elaborati di candidati provenienti da tutta Italia, assegnati secondo un criterio casuale alle varie sotto-commissioni; nella specie, non risulta che alla procedura concorsuale avessero partecipato candidati nati o residenti nel comune di Alvignano, essendo per contro emerso che gli unici tre candidati in tale situazione, che avevano presentato domanda di partecipazione, non si erano poi presentati per sostenere la prova preselettiva”.

Il rigetto degli appelli incidentali.

I Giudici di Palazzo Spada sono, quindi, passati all’esame dei ben tredici motivi di appello incidentale – da 3.a) a 3.O) – proposti dalle originarie ricorrenti di primo grado avverso le sentenze del TAR Roma, rigettandoli integralmente.

Le censure ritenute generiche.

            Più specificamente, su alcuni dei suddetti motivi di appello incidentale il Consiglio di Stato non ha ritenuto di dover entrare nel merito, in quanto le relative deduzioni sono state valutate assolutamente generiche e/o non sostenute da adeguate argomentazioni in ordine all’incidenza causale dei vizi sollevati rispetto alle specifiche posizioni concorsuali delle due ricorrenti: è il caso delle censure relative alla contemporanea presenza del commissario che ricopriva la carica di sindaco ad una seduta di Commissione e ad una di Giunta comunale, alla pretesa violazioni della regola dell’anonimato, all’asserito malfunzionamento  del software utilizzato per la prova scritta, all’ipotizzata disparità di trattamento dei candidati tra le varie sottocommissioni sparse sul territorio nazionale.

            Le mere irregolarità non rilevanti e la discrezionalìtà tecnica spettante alle commissioni.

Ancora, l’organo d’appello ha derubricato a “mera irregolarità non viziante” la dedotta mancanza di datazione delle griglie di valutazione. Mentre, ha ritenuto impingere nella sfera di discrezionalità tecnica spettante alle commissioni di concorso i motivi d’appello incidentale relativi:

– all’ordine di correzione tra le prove sottoposte a sistemi automatici di valutazione (che erano, sostanzialmente, quelle attinenti alla conoscenza delle lingue straniere) e quelle, invece, involgenti valutazioni discrezionali;

– alla formulazione dei quesiti per la prova scritta non come domande a risposta aperta bensì come casi pratici;

– alla previsione, da parte di una specifica sottocommissione (la 34^), di punteggi intermedi rispetto a quelli massimi previsti nella griglia di valutazione adottata dalla commissione in seduta plenaria: “punteggi intermedi i quali peraltro – hanno osservato i Giudici – consentono un maggiore differenziazione valutativa e quindi una maggiore specificità motivazionale.

            La legittimità dei criteri di valutazione.

Maggiore spazio è stato dato in motivazione alla censura, formulata dalle due candidate bocciate alla prova scritta, di genericità ed incompletezza della griglia di valutazione adottata dalla commissione in seduta plenaria (e, ancor prima, predisposta, come si è visto, dal Comitato tecnico-scientifico). Al riguardo ha così osservato il Consiglio di Stato: “Quanto all’asserita genericità e incompletezza dei criteri stabiliti nella griglia di correzione, le relative censure si risolvono in doglianze generiche e prive di reale contenuto argomentativo, apparendo i criteri stabiliti dal comitato tecnico scientifico (poi recepiti tali e quali dalla commissione) per loro natura necessariamente ampi e generali, comunque tali da consentire un preciso ancoraggio a concetti ben individuabili, attendibili e verificabili sul piano tecnico-scientifico; … peraltro, l’introduzione di una pluralità di criteri, specificati per indicatori e descrittori, su una scala numerica di riferimento differenziata per massimi di punteggio, non solo non appare irragionevole e arbitraria ma, tutt’al contrario, persegue due finalità virtuose, per un verso autolimitando il potere discrezionale della commissione nella successiva valutazione degli elaborati, e per altro verso rendendo più compiutamente ricostruibile il percorso seguito dalla commissione esaminatrice nell’attribuzione del voto, in piena aderenza al principio di trasparenza.

           Dal complesso delle superiori statuizioni esce, quindi, indenne il modus procedendi (ormai comunemente adottato nelle procedure concorsuali in cui, per l’elevato numero di candidati, operano varie commissioni / sottocommissioni) in base al quale le varie commissioni e sottocommissioni valutano le prove concorsuali nell’ambito di criteri generali fissati in sede centrale che, tuttavia, esse stesse commissioni / sottocommissioni possono adattare e specificare senza, per ciò  stesso, violare il principio di unicità della procedura concorsuale.

            L’insindacabilità dei tempi di correzione.

Esaminando la lunga sequela di motivi incidentali, il Consiglio di Stato ha anche avuto modo di ribadire il proprio costante orientamento (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 8 gennaio 2019, n. 178; Cons. Stato, Sez. IV, 22 giugno 2006, n. 3924) in materia di insindacabilità dei tempi di correzione delle prove d’esame; ciò in quanto “di norma, non è possibile stabilire quali concorrenti abbiano fruito di maggior o minore considerazione e se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato”. I Giudici d’appello hanno ulteriormente precisato che: “è bensì vero che dal verbale del 25 gennaio 2019 emerge che la commissione in seduta plenaria aveva stabilito che «la correzione di ogni prova dovrà prevedere di norma un tempo di 30 minuti», ma si tratta all’evidenza di un’indicazione di massima fornita allo scopo di uniformare le operazioni di valutazione tra le varie commissioni, basata sulla stima, effettuata ex ante, del tempo in astratto necessario ad esaminare un elaborato, dipendendo poi il tempo effettivamente impiegato per la valutazione della singola prova e la congruità dello stesso in concreto dalla consistenza degli elaborati e dalle problematiche di correzione eventualmente riscontrate in ciascuno”.

         Il caso Sardegna: l’irrilevanza del rinvio della prova scritta.

            Infine, si richiama la parte delle sentenze in commento in cui è stata affrontata la problematica – che aveva destato molto clamore tra i candidati – del rinvio della prova scritta  del concorso dal 18/10/18 al 13/12/18 per i soli candidati della Regione Sardegna (a causa di un’allerta meteo). Ciò che, avevano dedotto le ricorrenti in primo grado, avrebbe violato il principio di unicità della prova, attribuendo un indebito vantaggio, in termini di preparazione e di prevedibilità delle domande, ai candidati postergati.

Ha rilevato al riguardo il Collegio che: “l’art. 8, comma 12, del bando prevede che, qualora, «per cause di forza maggiore sopravvenute, non sia possibile l’espletamento della prova scritta nella giornata programmata, ne viene stabilito il rinvio», il che, evidentemente, implica una possibilità di deroga al principio di unicità della prova, essendo altamente inverosimile che le cause di forza maggiore impeditive dello svolgimento della prova riguardi simultaneamente tutte le sedi decentrate. La deroga era, pertanto, ammessa dalla stessa lex specialis in casi eccezionali, tra i quali indubbiamente rientra l’improvvisa e imprevedibile chiusura delle scuole e degli uffici pubblici disposta dalla competente autorità locale per ragioni di forza maggiore, sicché, nella specie, risulta ampiamente giustificato lo slittamento delle prove limitatamente alla regione della Sardegna. Come correttamente rilevato dal TAR, irragionevole e sproporzionato si sarebbe per contro rivelato lo slittamento della prova su tutto il territorio nazionale a cagione della oggettiva impossibilità di svolgimento, nella data prestabilita, in una sola regione per la sopravvenuta imprevedibile indisponibilità della relativa sede.

Anche in tal caso Palazzo Spada non ha, poi, mancato di stigmatizzare “la carenza assoluta di allegazione e di prova sia in ordine all’indebito vantaggio che a suo dire avrebbero fruito i concorrenti sardi (alla luce della comprovata diversità delle domande sottoposte ai candidati nella sessione del dicembre 2018), sia in ordine al pregiudizio concreto subito dall’originaria ricorrente ed odierna appellante incidentale e all’incidenza causale sull’esito negativo della prova da essa sostenuta.

Conclusioni.

Sintetizzando, si può affermare che, con le sentenze in commento, il Consiglio di Stato:

  • ha richiamato ad un particolare rigore deduttivo e probatorio riguardo ad asserite circostanze vizianti che, sebbene ipotizzate con riguardo ad una procedura a carattere generale, devono essere sempre illustrate con riferimento alla loro refluenza sulle posizioni concorsuali dei singoli candidati;
  • ha ribadito alcuni dogmi giurisprudenziali in materia concorsuale quali l’insindacabilità dei tempi di correzione e l’ampia discrezionalità tecnica delle commissioni nella predisposizione dei criteri di valutazione (purché non macroscopicamente illogici o contraddittori);
  • ha avuto occasione di chiarire che il principio di unitarietà del concorso non può essere inteso nel senso della contestualità delle relative prove sul piano territoriale né in quello di una rigida replicazione dei criteri e delle procedure adottati in ciascuna commissione o sottocommissione, ma va coordinato con le esigenze di speditezza dell’iter concorsuale e con l’opportuno mantenimento in capo ai singoli organi valutatori di un certo grado di autonomia nell’adozione degli strumenti valutativi: purché, sia permesso aggiungere, il tutto vada nella direzione di una maggiore oggettività e verificabilità dell’operato delle Commissioni (come ha ritenuto il Consiglio di Stato essere avvenuto nella fattispecie in esame) e non in senso opposto.      

                                                Avv. Fabio Rossi – Foro di Catania